lunedì 28 gennaio 2008

Il Panteco. L'eco di Pantelleria. Gennaio 2008

Il “punteruolo rosso” c’è. Si salvi chi può.
di Ferruccio Formentini

Le isole hanno il dovere di difendere la flora e la fauna che vive sul loro territorio. Non è solo una questione pratica per evitare malattie introdotte nell’isola da una nuove specie proveniente da altre zone ma è anche una faccenda d’interesse scientifico: in qualunque territorio circoscritto ed isolato si sviluppano per selezione naturale specie animali e vegetali con specifiche particolarità che li rende per alcuni versi diverse da quelle altrove presenti. Non per caso in isole come la Gran Bretagna per lungo tempo è stato severamente proibita l’introduzione di animali e piante che non avessero preventivamente superato una lunga quarantena, così come succede tuttora in Nuova Zelanda, anche lei isola, dove il pericolo dell’introduzione incontrollata di nuovi vegetali è talmente sentito che se si arriva dall’estero con una mela in tasca questa viene requisita dal doganiere. Anche Pantelleria è un isola piccola e quindi maggiormente fragile, che per di più ambisce a diventare Parco Nazionale, dove la sua notevole lontananza da altre terre - che sono addirittura due Continenti- gli ha permessa di sviluppare una flora e fauna con caratteristiche specifiche. Un esempio per tutti: il pino marittimo importato dalla Sicilia nei primi anni post bellici, per rinverdire una montagna Grande in gran parta spogliata dalla sua vegetazione durante gli ultimi due anni della guerra per farne legname per usi domestici, in poco tempo si è trasformato in una pianta con caratteristiche talmente diverse da quelle originali da diventare oggetto di studi. Sovente gli innesti di piante d’importazione ha risvolti per niente positivi. In Brianza, ad esempio, nell’ottocento sorse la moda di abbellire i giardini delle ville signorili con piante esotiche. Avvenne quindi una significativa importazione di piante di cachi ma anche di robinie dall’oriente. E se i cachi hanno dato risultati postivi al contrario la robinia, passata la moda, lasciata a se stessa e travato il terreno particolarmente favorevole, ha rapidamente invaso tutta la zona tanto che oggi, dopo aver soffocato un gran numero di vegetazione autoctona, è diventata la pianta maggiormente presente in larghe fasce della Brianza. Nella nostra isola è esplosa la moda di rendere sempre più belli i terreni che circondano i dammusi e questo è positivo. Purtroppo però anziché privilegiare l’uso degli alberi e arbusti tipici della macchia mediterranea per abbellire le aiuole e i viali è iniziata una incontrollata tendenza che privilegia piante e arbusti provenienti dai quattro angoli del mondo, meglio se adulti e possibilmente giganteschi. E già si notano le prime conseguenze. Intanto il profilo del panorama agreste è ormai mutato con l’introduzioni delle altissime palme nordafricane che spiccano dovunque nell’isola e perfino in zone che dovrebbero essere protette. Ma con l’introduzione di alberi adulti c’è un altro pericolo: quello dei parassiti o animaletti che si portano appresso. Sarà frutto dell’immaginazione ma c’è chi giura d’aver visto uscire dalla radici di ulivi secolari, appena importati, serpentelli, forse vipere, ragni e insetti mai visti prima. Fantasie? Leggende isolane? Forse. Tuttavia c’è un’indiscutibile orribile verità e a farne le spese per prima è la zona di Rekale che purtroppo non resterà la sola. Il parassita ammazza palme volgarmente noto con il nome di “punteruolo rosso” è giunto nella nostra isola nascosto all’interno di palme proveniente dall’Egitto e sembra essersi ambientato perfettamente. Non solo sarà complicato se non impossibile debellare il mortale parassita ma bisogna anche chiedersi se l’equilibrio che regola la vita del mondo vegetale isolano non rischia danni irreversibili. E’ assolutamente necessario un severo controllo sullo stato di salute della flora adulta d’importazione se non si vuole correre il rischio di procurare dei guai alla nostra isola.
Ferruccio Formentini

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