martedì 29 luglio 2008

Qualche idea sulle morti bianche in tempo di esodo

Pubblicato il 17 luglio 2008 su L’Occidentale www.loccidentale.it
Qualche idea sulle morti bianche in tempi di esodo.
Lo dice l’Inail, è incredibile gli incidenti sul lavoro calano ma i media quando danno la triste notizia di uno o più morti bianche tendono sovente ad addebitare la disgrazia principalmente all’ipotetica sete di guadagno o alla voglia di risparmiare degli imprenditori, anche quando gli stessi restano uccisi dalla propria generosa imprudenza. Questo pensiero unico, ripescato dagli slogan in gran voga tra i ’60 e i ‘70, tende ad incolpare solo “l’ingordo padrone” ma non aiuta a far diminuire i troppi infortuni sul luogo di lavoro.
Caschi, occhiali, guanti, giacconi, stivali, cinture di sicurezza, imbracature sono una garanzia contro gli infortuni, soprattutto per le mansioni pericolose, ma sono anche scomodi, ingombranti, e quando devono essere indossati per ore e ore diventano perfino fastidiosi. Bombole antincendio, idranti, sistemi di pronto soccorso, carichi di tensione sulle linee elettriche andrebbero naturalmente tenuti sotto controllo ma se per anni e anni non è mai accaduto nulla di serio e pericoloso è inevitabile, cala la tensione e l’allerta. Sistemi d’accensione di sicurezza costringono l’operaio ad avviare la macchina utensile servendosi contemporaneamente di entrambe le mani così come delle speciali guide, se lasciate al proprio posto, dovrebbero impedire che le stesse finiscano imprigionate e maciullate da qualche sega, ago, ingranaggio, ma dopo lustri dove tutto ha funzionato alla perfezione capita che l’assuefazione e l’abilità lascino il campo alla non curanza. C’è un angelo della morte acquattato a fianco dei sistemi di prevenzione che agisce con subdola malignità in danno dell’operatore e si chiama superficialità, eccesso di confidenza e perfino di perizia, affaticamento e altri trabocchetti psicofisici che ogni essere umano si porta dentro convinto di riuscire a dominarli in ogni circostanza.
Quotidiani e tv farebbero un migliore servizio alla prevenzione se, mentre sollecitano controlli sempre più severi, spiegassero che i primi a doversi preoccupare per la propria incolumità sul lavoro sono in assoluto i lavoratori, anche perché loro pagano di persona e quando diventano invalidi o muoiono non gli fa così tanta differenza sapere di chi è la colpa.
Proviamo a lavorare d’immaginazione e per assurdo domandiamoci quale potrebbero essere le conseguenze se il libretto di lavoro venisse dotato di punti proprio come la patente di guida, dove si perdono se si è colti al volante con il telefonino acceso o non si allaccia la cintura, e ne vengono persi altri ancora quando si brucia il rosso o i limiti di velocità. Fino alla sospensione, se non addirittura dover rifare gli esami di abilitazione, quando viene consumato il patrimonio punti in dotazione.
E’ evidente, come succede sulle strade, che un sistema di controllo anche coercitivo eleverebbe di molto il livello di attenzione per le norme di salvaguardia della propria incolumità se adottato anche nelle aziende. E’ certamente un deterrente quando sorpresi su un’impalcatura senza casco si perdono 5 punti, così come lo sarebbero i 15 tolti al lavavetri che volteggia saltando da un finestra all’altra al quinto piano senza imbracatura. Lavorare a una fresa senza occhiali potrebbe costarne 7 e a una sega elettrica senza guanti altrettanti, che diventerebbero 10 se è stata rimossa la guida di protezione. E quando i punti si sommano ai punti scatta la sospensione dal lavoro che naturalmente si riottene dopo un esame riabilitativo.
Non mancherebbero le obiezioni. Prima tra tutte, dietro a un lavoratore c’è sempre un famiglia.
E’ sacrosanto, ma chi lavora servendosi di un automezzo – dal rappresentante di commercio all’autista, dal camionista al conduttore di bus – già deve sottostare alla regola dei punti patente con tutte le conseguenze che gli derivano ogni qualvolta è sorpreso a non rispettare i regolamenti stradali. E nessuno se ne lamenta.
Ferruccio Formentini

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